LE COMMEDIE STORICHE DEL “MAGNI CINEMATIC UNIVERSE”

Eccezionale regista, Luigi Magni ha diretto numerose commedie storiche proprio per raccontare la storia di Roma, creando quello che mi piace definire il “Magni Cinematic Universe” di marvelliana memoria.
“Scipione anche detto l’Africano” è un film che narra dello scontro tra Scipione Africano e Marco Porcio Catone, interpretati rispettivamente da Marcello Mastroianni e Vittorio Gassman.
Nelle casse dell’erario della Roma repubblicana mancano 500 talenti, la prima rata del tributo di guerra che il re di Siria ha pagato a Roma dopo la battaglia di Magnesia (189 a.C.). Questa vittoria aveva donato a Lucio Cornelio Scipione, fratello dell’Africano, impersonato da Ruggero Mastroianni, il soprannome di “Asiatico”.
Durante varie riunioni in Senato, Catone mette sotto torchio i due fratelli, che resistono fino a quando viene presentata la ricevuta della consegna del tributo firmata da un certo “Scipione A”. A questo punto i due fratelli litigano, fino a quando uno sfinito e smaliziato Asiatico confessa il furto.
L’onesto Africano vorrebbe trascinare il colpevole in Senato per fargli ammettere il suo crimine, nonostante sia il fratello. Ma questo va contro gli obbiettivi del furbo affabulatore Catone, che non voleva scoprire il ladro, ma dimostrare ai cittadini di Roma che il grande e irreprensibile Scipione Africano, dal quale sono sempre più affascinati, è pur sempre “umano” con le sue debolezze e i suoi difetti.
L’Africano, che per difendersi avrebbe potuto scatenare una guerra civile, rinuncia alla sua aurea d’incorruttibilità. Dopo aver compreso di essere un “gigante” inutile in un mondo dominato da “nani”, confessa dei crimini che non ha mai commesso. Ma dai senatori non viene condannato, perché ha solo dimostrato di essere “omo tra gli omini”.
Il fondamento di questo racconto è vero: nel 187 a.C. i due Scipioni vennero accusati di furto, ma non sappiamo come finì il processo. Valerio Anziate, la fonte d’informazione di tutti gli storici latini, scrisse che l’Asiatico era stato condannato a risarcire l’erario. Ma egli era un falsificatore, ed è possibile che il processo sia stato bloccato.
Due sono i fatti storici realmente accaduti e mostrati nel film: un esasperato Africano che distrugge i libri contabili, e la sua esortazione nel festeggiare il giorno dell’anniversario della battaglia di Zama, avvenuta il 18 Ottobre del 202 a.C. Aver sconfitto Annibale, uno dei più grandi nemici di Roma, proprio in territorio africano, aveva valso a Publio Cornelio Scipione il soprannome di “Africano”.
“Sorti fori, Giove! E discoremo.” in questo modo l’Africano esorta il padre degli dei a parlare con lui. In effetti, Aulo Gellio riportò di una leggenda che voleva l’Africano ispirato dal dio; ma il Giove Capitolino di Luigi Magni, interpretato da Turi Ferro, è un dio che piange e si lamenta, diverso da un uomo solo perché se la “gode in sempiterno ‘sta buffonata” dato che “la vita è bella proprio perché finisce”.
“Ingrata Patria, non avrai le mie ossa”, queste le ultime parole pronunciate da l’Africano a fine pellicola – mentre lascia Roma – che secondo Valerio Massimo erano incise sul suo sepolcro. La sepoltura dell’Africano non si trova nel famoso Sepolcro degli Scipioni sulla Via Appia, infatti, ma a Literno, dove si era ritirato disgustato dalla vita politica romana.
Tuttavia, la pellicola è piena anche di errori storici.
Quello che forse risalta di più è vedere Emilia, moglie dell’Africano, preparare la salsa, quando il pomodoro giunse in Europa dall’America dopo il 1492. Cornelia, figlia dell’Africano, è stata interpretata da una ragazzina di circa 10 anni, ma all’epoca dei fatti il suo personaggio ne aveva solo 5; mentre il futuro Publio Cornelio Scipione Emiliano non era un ragazzino, ma un neonato.
Sentiamo Catone nominare il greco Polibio, l’autore della prima opera storiografica di Roma, anche se lo storico giunse nella Città Eterna solo nel 168 a.C., circa vent’anni dopo gli eventi mostrati nella pellicola. Ma non è l’unico caso di “arrivo anticipato”. Il filosofo Carneade di Cirene, ospite dell’Africano ma cacciato da Roma perché “nun se capisce” quello che dice, in realtà giunse a Roma nel 155 a.C., più di trent’anni dopo.
E fa sempre un certo effetto vedere Catone difendere la barba “romana” dal rasoio “greco”, quando era l’esatto opposto. I Romani accettarono di farsi crescere la barba, imitando i filosofi greci, solo nella tarda età imperiale.
Infine, è strano vedere i corrieri percorrere stradine di campagna e attraversare i boschi, invece di viaggiare sulla Via Appia. Dato che da più di cento anni la famosa via consolare passava da Capua – attuale Santa Maria di Capua Vetere – questa poteva essere usata per raggiungere Literno – attuale Giugliano in Campania, vicino Napoli- per portare il messaggio di Catone a Sempronio Gracco.
Ma, nonostante le inesattezze storiche, “Scipione detto l’Africano” è un bel film? Sì!
Col suo cast eccezionale, rende omaggio a Roma e alla sua Storia.
La scelta di girare in siti archeologici, come Pompei, Paestum e Tivoli, è indicativa: la Roma repubblicana di Luigi Magni è una città vecchia, in rovina, crepuscolare, la sua straordinaria bellezza sembra celata dall’incuria e dal degrado. Battute e discorsi seri, pronunciati in romanesco, vanno a creare una straordinaria commedia storica che analizza il nostro tempo. La denuncia politica di Magni è evidente: purché la Repubblica viva, un uomo grande e integerrimo come l’Africano deve farsi piccolo. Perché in politica “il più pulito c’ha la rogna”.
“State in campana, perché i popoli che se scordano la Storia prima o poi ce sbattono il grugno!” queste parole dell’Africano potrebbero essere il manifesto di quello che Luigi Magni ha realizzato: una serie di opere cinematografiche ambientate a Roma, da quella antica a quella papalina.
Perché solo conoscendo la Storia possiamo interpretare il presente e prepararci al futuro.
Antonietta Patti